Tra le piazze azionarie più performanti e meglio impostate negli ultimi anni spicca il Giappone. Le ragioni dietro questa dinamica interessante sono molteplici. Innanzitutto, c’è da dire che il Giappone si è perso venti anni circa di crescita mondiale, più precisamente dall’inizio degli anni novanta al 2010. I benchmark di riferimento si sono infatti ridimensionati rispetto ai valori definibili di bolla finanziaria raggiunti a fine anni 80, dopo una grande crescita immobiliare cda cui si è innescata una successiva crisi. Ma la svolta economico-fiscale adottata da parte del Governo precedente a quello attuale, presieduto da Abe, ha impresso una notevole accelerazione al listino nipponico. E parallelamente anche i bond giapponesi sono esplosi di valore, grazie alle politiche monetarie ultra-espansive, portando i rendimenti a scadenza dei bond in territorio negativo. Ma se le obbligazioni in yen non sono allettanti per via della assenza di guadagni attesi, l’azionario rimane d’appeal.
Se il Giappone rimane tuttora la terza potenza economica a livello globale, i benchmark azionari sono molto diversificati e raccolgono numerosi settori, con una netta preferenza per la tecnologia. Anche il recente mega-trend della sostenibilità degli investimenti rappresenta una opportunità, trasversale a più settori nel listino giapponese, in quanto molte aziende si stanno adattando. Il mercato azionario del Sol levante è inoltre permeato da una miriade di società a piccola-media capitalizzazione, che permettono di sfruttare anche business più di nicchia: come ad esempio la cyber-security, un tema da non lasciarsi scappare negli anni a venire. Dando un occhio ai multipli, si può capire se il mercato può ormai essere considerato troppo caro o rischioso, considerando il +10% annuo offerto agli investitori negli ultimi tre anni che sale a +13% annuo negli ultimi 5 anni, o se presenta ancora spazi per soddisfazioni future. Si fotografa oggi per l’indice Nikkei225 un P/e atteso (rapporto tra prezzo e utile per azione medio dei titoli nel paniere) che non impaurisce eccessivamente, pari a 26, anche se alcuni anni fa era nettamente più appetibile.
Un indice più diversificato del Nikkei225 è il Topix, che contiene nella versione più estesa più di 2100 azioni. In questo caso la prevalenza di small e mid caps è preponderante, e a seconda delle fasi di mercato questo benchmark può sovra o sottoperformare l’indice che più si avvicina al concetto di blue chips, il Nikkei225. Un discorso a parte merita il tasso di cambio. Gli strumenti diversificati (fondi e Etf) che permettono di replicare indici azionari giapponesi prevedono infatti la versione con rischio di cambio aperto piuttosto che assenza del fattore valutario; in quest’ultimo caso il nome del prodotto conterrà il suffisso euro-hedged. Se da un lato è vero che l’esposizione in valuta estera, in questo caso lo yen giapponese, comporta la consueta volatilità aggiuntiva rispetto ad una posizione in euro, si segnala che in fasi di mercato eccezionalmente nervose una posizione in yen può offrire uno scudo, in quanto la divisa nipponica è considerata bene rifugio.
Guardando ai grafici, il recente superamento dei precedenti massimi trentennali è un segnale di forza, che non deve spaventare. Anzi è la conferma della voglia di rivincita tuttora annidata nel mercato azionario giapponese. Trattandosi di una scelta focalizzata su un solo Paese, a scapito della diversificazione che adotterebbe un buon padre di famiglia, il peso che eventualmente va dato a questa scelta deve essere non eccessivo rispetto ad altre tematiche.