Esiste uno strumento finanziario che si colloca a metà tra le obbligazioni e le azioni, ma che sul medio-lungo periodo offre potenzialità superiori rispetto ad un classico portafoglio bilanciato. Stiamo parlando delle obbligazioni convertibili, che come dice il nome stesso sono dei bond emessi da società ma che presentano la possibilità, in determinate condizioni, di essere trasformate in azioni della società stessa. Questa caratteristica fa si che tali obbligazioni si comportino in modo ibrido ovvero a cavallo tra le dinamica di una classica obbligazione societaria e la relativa azione quotata: performando in modo tonico durante le fasi espansive dei mercati e proteggendo altrettanto dignitosamente nei contesti critici, ma anche ottenendo rendimenti migliori di un portafoglio 50-50 tra azioni e bond.
Tecnicamente, i bond convertibili presentano l’originale caratteristica di offrire una asimmetria nel rendimento per coloro che li mantengono in portafoglio per lunghi periodi di tempo. Gli investitori risultano infatti parzialmente protetti durante le fasi ribassiste dei mercati azionari, grazie alla componente cedolare dell’obbligazione che permette di creare il cosiddetto floor. Ma al tempo stesso la convertibilità del bond in azioni genera benefici durante le fasi rialziste dei mercati azionari, in quanto il valore dell’opzione (di conversione in azione) aumenta assieme al prezzo delle azioni della società. La teoria di portafoglio evidenzia che l’inserimento di una quota di obbligazioni convertibili tende a migliorare le misure di rendimento/rischio di un portafoglio diversificato.
Rispetto ad una allocazione 50-50 tra azioni e bond, il vantaggio sta nel fatto che il bond convertibile è in grado, in modo automatico, di approfittare dei trend al rialzo dell’azionario, in quanto la componente opzionale diventa più consistente; mentre quando le azioni scendono il delta (sensitività all’azione) diviene via via meno sensibile, offrendo uno scudo per il detentore del bond. Per ottenere una simile dinamica per un portafoglio 50-50 azioni e bond, un investitore dovrebbe continuamente adattare l’allocazione tra le due asset class, in base alle dinamiche di mercato.
Ed infatti se si confronta la dinamica di lungo termine tra un indice (Thomson Reuters) rappresentativo delle obbligazioni convertibili mondiali –linea bianca nel grafico- e un indice (Pimco Balanced Index) che offre la dinamica di un portafoglio bilanciato –linea rossa-, si nota un chiaro vantaggio dei bonde convertibili, anche se hanno evidenziato correzioni più marcate durante le fasi di forte volatilità dei mercati, tipicamente gli anni 2009, 2011, 2016. Ma per chi ha avuto al pazienza di lasciar lavorare la strategia nel tempo, fattore divenuto ancor più importante oggi in un contesto di rendimenti obbligazionari negativi, avrebbe incassato un rendimento lordo annuo superiore al 6,7%, in dollari Usa.
Anche tramite gli ETF le opportunità per l’investitore italiano non mancano in quanto su ETFplus sono quotati tre prodotti passivi che permettono di replicare indici diversificati composti da obbligazioni convertibili, su scale globale. In particolare il prodotto UC Thomson Reuters Balanced European Convertible Bond, emesso da Structured Invest ovvero Unicredit, punta ad un paniere di bond convertibili limitati al solo contesto europeo. Mentre SPDR (gruppo State Street) ha scelto di utilizzare un approccio di più ampio respiro, con beneficio anche di maggiori rendimenti sul medio termine. L’ETF SPDR Thomson Reuters Global Convertible Bond racchiude infatti quasi 300 obbligazioni di tale categoria, con una scadenza media oggi vicina ai 4 anni, e quasi la metà del portafogli è destinato ad emissioni statunitensi, con annesso rischio di cambio. Interessante anche il terzo prodotto presente sul mercato italiano, l’ETF SPDR Thomson Reuters Global Convertible Bond Euro Hedged, che come dice il termine stesso replica lo stesso indice del precedente prodotto ma con annullamento del rischio di cambio euro-dollaro –per coloro che temono un indebolimento della divisa Usa-.