I due principali universi di investimento, le azioni e le obbligazioni, evidenziano oggi più che mai differenze abissali. In termini di rendimento atteso e di rischio. Se infatti un tempo valeva la semplice logica che la parte di portafoglio destinata a dormire sonni tranquilli senza ricercare chissà quale guadagno dovesse essere destinata ai bond, e la quota dove cercare rendimenti più elevati ma meno certi alle azioni, oggi le cose sono cambiate. Le politiche esasperate degli ultimi anni adottate dalle banche centrali, unite alla debolezza strutturale dell’economia dell’area euro, hanno fatto si che i rendimenti delle obbligazioni si sono oggi portati su livelli quasi senza senso, ovvero in territorio negativo.
Privarsi del proprio denaro per prestarlo a qualcuno che alla scadenza del titolo di credito restituirà (cedole comprese) un capitale inferiore sembra una vera e propria fregatura, ma oggigiorno così è per molti sottostanti obbligazionari. La fotografia che si scatta sui bond ad alta affidabilità è disarmante. Ad esempio le obbligazioni tedesche evidenziano sulle scadenze brevi rendimenti negativi prossimi al -1% annuo, mentre se ci si vincola per dieci anni, si è certi di perdere solamente (si fa per dire) lo 0,35% ogni anno. Il problema è che l’inflazione è positiva, anche se non alta, e questo connubio di inflazione presente e rendimenti negativi fa si che le scelte obbligazionarie devo essere più che oculate, a differenza di anni fa.
Una possibile via di uscita è accettare il rischio di credito, attraverso obbligazioni non ad alto rating, oppure denominate in valuta estera, ma in questo secondo caso la volatilità aumenta notevolmente. E il rendimento ovviamente non è certo, dipende dalle oscillazioni dei cambi a cui si è deciso di esporsi (dollari, sterline, etc). Il franco svizzero è a sua volta in terreno negativo come rendimenti, e non sembra affatto un buon affare. L’altra possibilità nel contesto obbligazionari sono i bond emergenti, in valuta locale o in divisa forte (dollari).
Una seconda via di uscita è cambiare asset class, guardando alle azioni. Anche qui l’analisi da parte di consulenti esperti è d’obbligo, in quanto la volatilità è storicamente molto elevata, a braccetto con le possibilità di guadagno se si scelgono i sottostanti corretti o il timing ideale. Ciò che è certo è che l’orizzonte temporale deve necessariamente allungarsi. Gli investitori odierni non possono più puntare a performance stabili ogni 3 o 6 mesi, pretendendo che siano costantemente positive. Non possono più esserlo per via dell’assenza dello zoccolo duro di rendimento, appunto la parte obbligazionaria. Il cosiddetto premio al rischio, ovvero l’extra-rendimento annuo (5%-6%) che le azioni pagano rispetto ai bond, è inoltre incassabile solo su scadenza di diversi anni, non certo nel breve periodo.