Gli investimenti socialmente responsabili

La finanza odierna è fatta anche di mode, più o meno passeggere in base a numerosi fattori, ma tra queste non si possono di certo annoverare gli investimenti di natura etica. Solitamente questa forma di scelte finanziarie viene riassunta con l’acronimo SRI, che sta per Social Responsible Investing, ovvero investimenti socialmente responsabili o con elevati standard in termini eticità. Storicamente gli investimenti di natura etica tendevano a basarsi su principi di esclusione. La finanza sostenibile crea in breve valore impiegando i capitali verso forme di investimento ritenute sostenibili sul lungo termine e responsabili, cioè caratterizzate da criteri di selezione dei temi da mettere in portafoglio che si basano su filtri di natura ambientale, sociale o di governance (criteri ESG). Numerose ricerche mostrano inoltre che le forme di investimento sostenibili permettono di ottenere rendimenti non inferiori a quelli delle classiche strategie d’investimento, e quindi non vanno considerate come penalizzate rispetto ad altri investimenti non a sfondo etico.

Tipicamente, un investimento di tipo SRI tende ad escludere dal portafoglio le azioni e le obbligazioni di società che operano nel campo di armi, alcolici, gioco d’azzardo, tabacco, test su animali, etc.; in questo caso si parla di criteri di Esclusione. Ma la scelta potrebbe però focalizzarsi su società particolarmente attive in ambiti o business quali i cambiamenti climatici, l’efficienza energetica e energie rinnovabili, la salute, la parità di genere, il social housing, abbandonando quindi la sola logica di escludere società viste negativamente ma inserendo un premio a favore di aziende meritevoli sotto alcuni aspetti. Gli investimenti di tipo SRI evidenziano oggettivamente una costante crescita delle masse investite negli ultimi anni, non solo a livello globale ma anche italiano ed europeo, attraverso le differenti forme di investimento disponibili, dai bond, a fondi e gestioni, agli Etf. Che non si tratti di moda passeggera lo si desume anche dalla attenzione a questo fattore posta dalla società di rating e analisi dei prodotti finanziari. Ad esempio Morningstar mette in particolare evidenzia la Sostenibilità del portafoglio di specifici prodotti di investimento (fondi e Etf), attraverso il Morningstar Sustainability Rating: una misura di come i titoli in portafoglio stanno tenendo in considerazione i rischi e le opportunità relative ai fattori ESG, rapportandole con i concorrenti all’interno della stessa Categoria.

Secondo MSCI è altamente probabile che le tematiche SRI divengano parte di un normale processo di selezione, e non più considerate come una strategia satellite, negli anni a venire. C’è inoltre, come anticipato, un forte legame tra l’adozione di filtri social responsible da parte delle società e le performance societarie ottenute successivamente. Insomma si corre il rischio di cogliere due piccioni con una fava, facendo in qualche modo del bene e contemporaneamente ottenendo performance più robuste rispetto ad altre scelte di investimento. L’adozione di criteri ESG può essere un buon modo per evitare di avere in portafoglio azioni esposte a determinati rischi aziendali che possono portare a veloci drawdown, come hanno recentemente evidenziato le vicende Volkswagen e Facebook. Il tutto si traduce in un miglior controllo del rischio. E gestire bene i rischi implica, sul medio termine, una maggiore redditività e migliori rendimenti sugli asset quotati. Sempre secondo MSCI, nel periodo 2013-2018 l’aver adottato filtri ESG ha portato extra-performance, legate all’aver evitato situazioni problematiche su specifici nomi. E tale extra-rendimento è non è imputabile ad altri fattori ma associabile alla stock selection usando i filtri SRI.

L’approccio SRI è nato ed è oggi particolarmente diffuso in ambito azionario, ma si sta lentamente estendendo anche al contesto delle emissioni obbligazionarie. Un elemento peculiare in questo ambito è la stretta correlazione tra il rating societario e i livelli ESG fotografati per la società emittente; è infatti provato che le società emittenti con rating creditizio più elevato siano anche le stesse con i livelli di rispetto dei criteri ESG più consistenti; e parallelamente le aziende con rating creditizio molto basso (high yield) si collocano nella parte finale delle classifiche ESG. Durante le fasi di mercato caratterizzate da alta volatilità, si è evidenziato che i rendimenti offerti dai prodotti SRI sono risultati in linea, se non al di sopra, con quelli dei prodotti tradizionali del risparmio gestito, sebbene spesso più concentrati. Portafogli ben diversificati con temi SRI offrono un miglior rapporto rendimento-rischio, e performance leggermente più elevate sul lungo termine.

In merito alla diffusione di questi investimenti e alla collocazione delle società che adottan criteri SRI, l’Europa, in particolare quella del nord e di lingua tedesca, si conferma dominatrice della classifica semestrale sulla sostenibilità dei 35 Paesi Ocse. La medaglia d’oro spetta alla Norvegia, seguita da Danimarca, Svizzera, Islanda, Svezia e Germania. L’Italia si colloca purtroppo in posizione non felice, al 29° posto, anche dopo la Repubblica Ceca, la Polonia, il Portogallo. Gli strumenti SRI dell’Onu hanno ottenuto il supporto di 6.800 asset manager in tutto il mondo, che rappresentano 68.000 miliardi di dollari di patrimonio in gestione. Ad oggi ci sono oltre 250 fondi attivi ed Etf con mandati ESG, un aumento del 300% rispetto a 5 anni fa. I Paesi emergenti sono ad oggi più arretrati in merito all’adottare criteri ESG, ma potrebbero presto recuperare parte del terreno perduto rispetto ai Paesi sviluppati. Infine, in una recente ricerca di Schroders si è evidenziato che l’aumento degli investimenti SRI si riflette in una percentuale media di allocazione del 36% del portafoglio, in linea con gli investitori a livello globale (37%).

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