Oro: cosa succede se l’inflazione persiste?

I prezzi dell’oro dovrebbero rimanere elevati per il resto del 2023, e la casa di investimento crede anche che sia altamente probabile che l’oro tocchi nuovi massimi storici. Ciò potrebbe avere implicazioni significative per le azioni aurifere, che di solito vengono valutate utilizzando un prezzo a lungo termine inferiore, di solito intorno a $1.650-1.700 l’oncia. Con il mercato sempre più convinto che i prezzi dell’oro possano restare elevati per un periodo più lungo, le azioni hanno un ampio margine di rivalutazione. Perché la pensiamo così, si chiede Schroders? Se si profila una recessione negli Stati Uniti, le banche centrali potrebbero essere costrette ad allentare la politica monetaria prima di quanto avrebbero fatto in cicli precedenti e prima che l’inflazione di base sia realmente sotto controllo. Il che potrebbe significare che l’inflazione diventerebbe strutturalmente più radicata.

Dal punto di vista dell’asset manager, i tassi di interesse reali diminuiranno, il che dovrebbe essere positivo per l’oro. Ma nell’attuale contesto macroeconomico, si riteiene che l’argomento chiave a favore dell’oro dovrebbe ruotare più attorno alla “normalizzazione” generale della politica monetaria, piuttosto che ad una relazione molto specifica tra il prezzo dell’oro e i tassi di interesse o il dollaro statunitense. Se si ritiene che la Federal Reserve possa attuare una vera normalizzazione della politica monetaria, allora le prospettive per l’oro non si rivelano particolarmente rosee. Per “normalizzazione” intendiamo il ritorno a un mondo in cui i normali cicli di business sono regolati solo dalla politica monetaria e non vi è bisogno che le banche centrali ricorrano al quantitative easing (QE) o che i governi adottino politiche fiscali aggressive per sostenere la crescita. Tutto ciò ci sembra davvero improbabile, prosegue Schroders.

I policymaker si trovano davanti a numerose pressioni macroeconomiche, ma ad emergere sono, in particolare, la situazione attuale delle finanze pubbliche degli Stati Uniti e i livelli molto elevati di debito. È possibile che queste pressioni facciano sì che una risposta politica “normale” al prossimo periodo di recessione non sia sufficiente e che si sia costretti a tornare verso misure non convenzionali (come la monetizzazione diretta del debito, la ripresa del quantitative easing, programmi fiscali diretti). Tale contesto potrebbe essere molto più favorevole per l’oro. Da questa prospettiva, l’oro è in qualche modo un indicatore della credibilità di tali istituzioni. Più bassa è la credibilità della Federal Reserve e più estreme diventano le misure adottate dai policymaker, più forti diventano gli elementi a favore dell’oro. È sempre più evidente che l’espansione dei bilanci delle banche centrali, in particolare della Federal Reserve, non è una misura temporanea. Se si pensa al 2008, bisogna tenere a mente che Ben Bernanke aveva reso assolutamente esplicito che il QE e l’espansione del bilancio delle banche sarebbero state misure temporanee e sarebbero state normalizzate. Parliamo di ben 9.000 miliardi.

Quanto temporaneo crediamo che sia in realtà? Cosa pensiamo che accadrebbe a quel bilancio in caso di un’altra recessione? Cosa è appena accaduto al bilancio a maggio in risposta a una crisi bancaria regionale? È risalito immediatamente. Ci sono tensioni sistemiche sottostanti che rendono alcune di queste questioni a breve termine un puro pretesto – il cui ultimo lampante esempio è stato il problema del tetto del debito. In conclusione, se si pensa di essere sulla strada di un ritorno a un regime di politica monetaria normalizzato, si può anche evitare di pensare all’oro. Se si è invece leggermente più scettici, e noi lo siamo, allora l’oro ha sicuramente un posto nei nostri pensieri, così come hanno le materie prime in generale.

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