Questione di beta

Negli ultimi anni è notevolmente aumentata l’offerta di prodotti passivi (Etf) di tipo smart beta, ovvero caratterizzati da profili di rischio diversi rispetto all’universo di riferimento. L’indicatore beta esprime infatti la sensitività di una strategia rispetto alle oscillazioni dell’indice di riferimento, e un valori di beta pari ad 1 implica che ci si può aspettare che il prodotto (o la strategia di investimento) restituisca in media rendimenti molto vicini al suo benchmark. Se ad esempio si acquista un fondo o un Etf sull’azionario italiano con beta pari a 0,99 rispetto al Ftse-Mib, in una seduta in cui quest’ultimo si muove al rialzo del 2% ci si deve aspettare che anche il prodotto in portafoglio esprima tale rendimento. Ovviamente tale considerazione è valida anche in caso di sedute negative. Se al contrario si acquista un prodotto dove la strategia sottostante ha storicamente evidenziato un beta pari a 0,50, il movimento realizzato dall’indice di riferimento sarà colto solo per la metà (strategia difensiva); mentre in caso di beta pari a 2 ci si deve attendere il raddoppio dei rendimenti rispetto all’indice di riferimento (strategia aggressiva).

La motivazione per cui gli investitori richiedono gli strumenti smart beta, ovvero caratterizzati da beta diverso da 1, è legata alla propensione al rischio che essi adottano. Ad esempio un investitore potrebbe essere interessato a mantenere un posizionamento su un particolare mercato azionario ma al tempo stesso non rimanere scottato se qualcosa sui mercati va storto: in questo caso dovrebbe  propendere per una strategia difensiva in grado di smorzare la sensitività rispetto al mercato stesso. In caso di mercato negativo, la flessione sarebbe molto inferiore a quella dell’indice, ma l’altra faccia della medaglia consiste in un minor guadagno nel caso il mercato si apprezzi con forza. Le violente escursioni tipicamente realizzate dagli indici azionari non si adattano infatti a tutte le tipologie di investitori, e molti di essi sono disposti a rinunciare a qualcosa durante le fasi più espansive dei mercati ripagati da un evidente controllo dei rischi quando gli indici tracollano. Sul lungo termine ciò significa incrementare il rapporto rendimento-rischio (misurabile in modo oggettivo attraverso numerosi indicatori).

Per coloro che adottano questa strategia, di tipo difensivo, le principali categorie di strumenti passivi nati proprio per soddisfare tale scopo sono la Minimum Variance e la Low Volatility, leggermente differenti tra di loro. Nel primo caso la strategia ha l’obiettivo di costruire un portafoglio che in aggregato (come tutt’uno) esprima la minor rischiosità rispetto all’universo di riferimento; la matematica finanziaria viene d’ausilio a questo scopo, e gli indici a cui gli Etf sono legati vengono ribilanciati su base mensile o trimestrale per mantenere la minore esposizione possibile al rischio di mercato. In questo caso si tiene conto delle correlazioni storiche tra le azioni inserite in portafoglio, con l’auspicio che siano affidabili e significative. La strategia Low Volatility è invece più semplice come costruzione, ma non necessariamente meno efficace. In questo caso si seleziona un sottoinsieme di azioni, rispetto all’indice originario, ordinandole per volatilità decrescente, e solo i titoli meno rischiosi vanno a comporre il nuovo indice a bassa volatilità. Sia la Minimum Variance che la Low Volatility portare quindi a un indice più ridotto come numero di componenti rispetto all’universo di partenza. Nonostante questo elemento, non a vantaggio in quanto si ha un sacrifici in termini di diversificazione, le misure di rischio sono in effetti molto più basse rispetto agli indici di partenza. Nella accelerazione al ribasso dei mercati di fine 2018, le strategie a rischio controllato ha all’incirca dimezzato la flessione rispetto ai relativi benchmark.

Ma sul lungo termine paga mantenere un profilo di rischio inferiore al mercato? O si ottengono gli stessi risultati se non peggiori. Guardando ad alcune strategie sembra proprio possa essere conveniente. Osservando la strategia Minimum Variance (adottata ad esempio dal provider Ossiam) sull’azionario europeo, rispetto all’indice Msci Europe che riflette l’intero mercato europeo, si nota che il primo prodotto dal 2011 ad oggi è in rialzo del 82% circa, rispetto al +71% del secondo prodotto (che non incorpora nemmeno i costi di gestione di un Etf). Nonostante l’Etf legato al Msci Europe sia in grado di accelerare con maggior forza durante i periodi di Borsa rialzisti, l’evidente controllo dei rischi (ovvero minori discese) da parte della strategia Minimum Variance fa si che le fasi orso vengano parzialmente snobbate, permettendo di ripartire da valori più elevati nel momento in cui i mercati si stabilizzano. Si dimostra quindi fondamentale la stabilità dei rendimenti durante i crolli di Borsa, che riesce a compensare le minori performance della fasi toro dei mercati. A tutto vantaggio del rapporto rendimento-rischio ma anche del rendimento assoluto, sul lungo termine. E’ chiaro che durante la fasi espansive di Borsa conviene posizionarsi su strumenti a beta 1 o maggiore, ma solo in ottica di trading; per una sana gestione di portafoglio, meglio sacrificare una parte dei rialzi più forti, sapendo che verranno recuperati nel momento in cui i mercati vanno in panne.

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